Le bocce sembrano d’acciaio. Arrivano a terra dopo lanci faticosi, la caduta è un tonfo che allontana gli uccelli. Chiesa bizantina, Santa Maria di Miggiano, chiusa.
I due chiedono dell’apertura al pubblico, se e quando.
Il signore che poco prima aveva lanciato nell’aria di pineta e immobile passato una bestemmia bucando l’aria con un colpo da cacciatore, risponde di esserne il custode, ma che gli dispiace no, non ha con sé le chiavi.
I due continuano a guardarsi attorno, in quel mondo chiuso da una cornice verde bottiglia, mentre gli anziani si allargano salutandosi e si scioglie la compagnia. Forse andranno a bere un bicchiere, i più torneranno a casa, avranno un cane o nipoti, una moglie contenta o no di rivederli.
Una trama vecchia e vivissima da racconto russo coi personaggi ambigui e puri come pini di questa boscaglia su uno sfondo di macerie e apocalisse che non tocca il podere, pervaso com’è di odore di corpi non ancora marci.
(I due pure, scene prima, sono stati in luoghi di vita, voci, storie, tradizioni, appartenenza: un borgo abbandonato e un’ ex manifattura tabacchi)
Già era sciolto il nodo di Salomone, questa furia sveglia i più lenti. Non si raggiunge l’altezza di stormo, banale dado tratto come il male. Solo greggi armenti alberi gatti prendono gli occhi rifanno il mondo, con Dio e una campagna senza pretese a intonare armonie perdute. Tu che dici di lepri su lingue di neve dove non osa né intorbida il linguaggio indica il sentiero della Madonna del Lago di Alto che solo tu conosci. Noi, vedi, riusciamo appena a pronunciarne il nome
(Non si raggiunge l’altezza di stormo, ma si raggiungono le rose. Grazie a Federico Federici che le dona, anche solo pronunciando la toponomastica dei suoi luoghi).
Un boscaiolo sceglie pezzi di legno. Ha barba chiara e bestemmia. Accanto a lui, in piedi, una donna: metti quercia, voglio pure la quercia! Lui bestemmia, con una voce vecchia e bambina. Sulle mura del borgo foto dal Vangelo secondo Matteo, Teorema, Il conformista, Novecento, Ultimo tango a Parigi. Depardieu magro, giovanissimo, De Niro. Quelli che camminando hanno incontrato il boscaiolo, la donna e le foto sui muri, non è dato sapere chi fossero. Né da dove venissero.
Giardini abbandonati restituiti alla città, persa l’anima che li abitava.
Manda fiori pietanze poesie il Monaco, in un silenzio di pagine nicotina e alcol, mondo buono che tiene in vita. Si sbracciano i morti uccisi dai volantini, dalla paga, da raggi non in saldo.
Uomini che abitavate locande in spazi di scrittoio e una finestra appena, prestati a donne silenziose devote o invadenti. Locande di confino, eterne, l’azzurro non vi lascia.
Bambine allegre perse nell’acqua cercando montagne oltre il mare, lo camminate nell’aria a molte miglia dal presente, ben salde in ciò che fu vero, vere.
Le molte cartoline lontane da qui, lettere francobolli prove di esistenza, atti di nascita di non più vive vite, violate sepolte da frane naturali, mutazione di connotati. Chi ha abitato l’aria da queste firme in qua? Calce bianca nell’ariosa urna postale incassata al muro fresca anche nella controra, cuore palpitante al rombo del postino, scale a perdifiato, via vai di vite racconti storie luoghi, nomi.
1. “Tanti saluti dalla nostra montagna”, Lina e Donato. Monte Coglians, Val di Suola, Dolomiti Pesarine.
2. “Pensandovi vi mandiamo saluti”, Monti di Carnia, Arta Terme. Atti di felicità, sagome di eterno, l’inchiostro sigilla. Tu ancora non c’eri ma restituisci, un’altra volta, le immagini attuali. Pieve di San Pietro, la più antica delle Pievi carniche, da lì passarono gli Avari.
Vivissimi per sempre, alcuni morti al mondo. Innamoratissimi qui, “Non vogliamo più tornare”, “è tutto stupendo”. Ora avvocati, alimenti viveri veleno.
Vite prioritarie come francobolli, da questa piena di incendi, carenza d’acqua, più vispi gli occhi di chi scriveva. Una visione, un dolore felice, un’allegria appannata ti guarda in faccia e non sai chi vede. Intuìto Trono di Gloria, carro di Cherubini, accampamento di Serafini, barlume di stagioni primarie, eccellenti, poi normali. Rivedo anche un ragazzo di vent’anni sui cantieri di Ginevra, il James Dean degli emigranti, poi mio padre.