Di ciò di cui non si può parlare si deve tacere, me lo hai insegnato tu. Parlarti, stare con te, non è mai stato banale, normale. Sei come quei libri o film che ti cambiano la vita, per cui c’è un prima e un dopo. E non è una cosa che accade una volta. Con te è sempre così. Ogni volta che ci si vede. L’ultima volta, a casa mia, ho preso appunti mentre mi parlavi della Russia, di Krusciov, degli Ussari, della Crimea, della Georgia, della Polonia. Pensai che è pura follia prendere appunti mentre uno tra i tuoi pochi cari amici ti parla. Ma siamo fatti così, niente di normale. Tu per esempio non viaggi, non giri l’Europa. Il tuo mondo i viaggi sono le letture, i racconti della gente per strada, gli sconosciuti dici, quelli che preferisci. Un nato a sproposito direbbe Svevo, un fuori gregge fuori coro fuori controllo direbbe (ma non dice), la vecchia arcigna disumana noiosa società, il mondo. Niente politicamente/socialmente/esistenzialmente corretto o conveniente. Le uniche formule che concepisci sono: “Solo il gatto lo sa” e “Dio pensa”. A proposito, non ti ho mai chiesto di Dio, del tuo dio. Bastava essere tranquillizzata: Dio pensa! E io mi fidavo e mi fido, il respiro torna calmo. Mi ronza da giorni: tra Bufalo e locomotiva, la differenza salta agli occhi, la locomotiva ha la strada segnata, il Bufalo, può scartare di lato e cadere. Questo decise la sorte del Bufalo, l’avvenire dei miei baffi e il mio mestiere. […] E mi ricordo infatti un pomeriggio triste. Quante volte l’abbiamo ascoltata. Insieme a “Bene”, a “Santa Lucia”. Il più bravo imitatore di De Gregori.
Un imperdonabile, dice Cristina Campo. Un Poeta puro. Un poeta vero. Uno scomodo. Uno di quelli, pochi, il cui talento o genio è mal tollerato, perché incasellabile inetichettabile. Fuori e oltre ogni schema. Imprevedibile. Inadatto alle classifiche alle vetrine al podio alle parole banali e pressappochiste degli addetti alle patrie lettere o dei lecchini di cui amano circondarsi.
Tu sei sempre stato della razza dei fiori.
Amnistia amnistia o L’angelo Midì, Arcangelo Michele. L’angelo che non sopporta le date, i numeri, che dice di essere trasparente, di non avere organi. “Dentro sono trasparente”. Che combatte con ciò che preferisce tacere. Nessun lamento, nessuna disperazione, mai. Solo parole belle, parole di angeli, fiori, pesci, miracoli. Di rose. Le tue rose.
Qui non c’è posto per gli angeli, Michele. Lo sapevi, lo sappiamo.
E te ne sei andato come per togliere il disturbo, l’impiccio l’impaccio di una presenza diversa e bella, colta e sensibile, inadatta al mondo eppure così comprensiva nei suoi riguardi.
Ordina, pensa bene, se pensi bene parli bene e vivi meglio. Dicevi. Tu misura di tutte le cose belle, in grado di trasformare in bene anche le cose più indicibili e brutte. “E’ tutta letteratura”.
Per il resto, di ciò di cui non si può parlare si deve tacere.
Le bocce sembrano d’acciaio. Arrivano a terra dopo lanci faticosi, la caduta è un tonfo che allontana gli uccelli. Chiesa bizantina, Santa Maria di Miggiano, chiusa.
I due chiedono dell’apertura al pubblico, se e quando.
Il signore che poco prima aveva lanciato nell’aria di pineta e immobile passato una bestemmia bucando l’aria con un colpo da cacciatore, risponde di esserne il custode, ma che gli dispiace no, non ha con sé le chiavi.
I due continuano a guardarsi attorno, in quel mondo chiuso da una cornice verde bottiglia, mentre gli anziani si allargano salutandosi e si scioglie la compagnia. Forse andranno a bere un bicchiere, i più torneranno a casa, avranno un cane o nipoti, una moglie contenta o no di rivederli.
Una trama vecchia e vivissima da racconto russo coi personaggi ambigui e puri come pini di questa boscaglia su uno sfondo di macerie e apocalisse che non tocca il podere, pervaso com’è di odore di corpi non ancora marci.
(I due pure, scene prima, sono stati in luoghi di vita, voci, storie, tradizioni, appartenenza: un borgo abbandonato e un’ ex manifattura tabacchi)
Già era sciolto il nodo di Salomone, questa furia sveglia i più lenti. Non si raggiunge l’altezza di stormo, banale dado tratto come il male. Solo greggi armenti alberi gatti prendono gli occhi rifanno il mondo, con Dio e una campagna senza pretese a intonare armonie perdute. Tu che dici di lepri su lingue di neve dove non osa né intorbida il linguaggio indica il sentiero della Madonna del Lago di Alto che solo tu conosci. Noi, vedi, riusciamo appena a pronunciarne il nome
(Non si raggiunge l’altezza di stormo, ma si raggiungono le rose. Grazie a Federico Federici che le dona, anche solo pronunciando la toponomastica dei suoi luoghi).