Non possono che ritornare
come tornano visi di vecchi compagni
nei corridoi di oggi. Come tornano a marzo
i versi di rondine l’odore di camini a novembre
i canti in ottobre delle chine tabacchine
mosto e sansa degli eterni autunni,
sciabordio d’acqua di lavandaie su alzaie di navigli.
Non possono che tornare per la ciclica dolcezza
dell’aver avuto e dell’aver perso,
per il catino mai abbandonato.
Ciò che avvenne fu per sempre
andare incosciente verso il ritorno.
C’è ancora confusione tra i registri
che contengono il tuo nome, uno dice è vivo
l’altro no. Ecco, un roseto li unisce.
Dal tronco si divide l’uno e si fa figlio.
Così i gatti ravvivano il mondo
giocando sui muri con le ombre