Lo ricordo bene il silenzio del primo bosco, così profondo che vedevo le impronte del pettirosso e la direzione che il vento snodato e mite dava alle formiche.
L’occhio si accorgeva di movimenti impercettibili e suoni precisi o lontani, visioni su una tela nivea. C’erano attrezzi spaventosi e fissi, forse per la legna. Qualcuno da queste parti si fa chiamare boscaiolo e abita qui vicino, mi dicevo. Faceva la paura che il bosco fa nelle pagine delle favole scure, guardare più in là metteva i brividi, trama fitta di tronchi, tonalità varie di buio, abbagli improvvisi di luce e voci di creature nuove. Sapevo di starci dentro, sono nata per questo momento pensavo, quindi non mi voltavo per assicurarmi della tua presenza. Per quanto l’aria si facesse nera andavo, il picchio mi stordiva e incoraggiava fino a quando ho capito che ero sola e ho cominciato a trasformarmi in corteccia, insetto, muschio, foglia, tana, becco.
Una di quelle cose che il bosco non può temere e fa addormentare lì, ai suoi piedi.
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