
foto scattata da Antonia Pozzi nel 1936
Se i guanciali sono 7 si dorme benissimo o almeno si sta tranquilli dicono.
Un po’ come arrivare all’abbazia con la 77 dopo aver ingoiato striduli e roventi metalli di Milano nei giorni di tarda primavera o estate quando a fare le talpe gli uomini trovano un qualche giovamento. I giorni che Michele mal sopporta dal 34 del suo monte nero, estraneo o tutt’uno ai fatti del clima e del viale o cime di Antonia.
I pomeriggi che ti cercavo a Chiaravalle sul prato o sulla neve. Dire un nome all’anagrafe dei muti, dei mai più visti deve essere noioso a chi lo cerca su un registro.
Eppure siamo stati bambini, lontani dal frastuono delle vite senza senso né racconto, lì tutto si posava in una forma sacra e silenziosa, una forma esatta.
Sei stata felice nell’ora che non dura, nell’ora che si eterna.
Accade a certi umani una felicità senza scampo né perdono, un lenzuolo grande che non pieghi se lo reggi da solo. Rotta l’erba, rovinata la terra il tuo Lavaredo non ha scacciato la profezia dei corvi sul filo elettrico né allontanato un cielo troppo vicino. Portone chiuso, password errata, passaggio senza strisce pedonali.
Finalmente leggo un omaggio ad Antonia Pozzi non convenzionale, che non ripete luoghi comuni e coglie in modo straordinario il valore di un’ esistenza in poesia e di una poesia nell’ esistenza qual è stata quella di Antonia. Si può parlare di sorellanza?
E c’ è una Milano anch’ essa fuori dagli stereotipi, che è poi la tua personalissima Milano, Ilaria.
Caro Antonio,
ti ho risposto con una lettera.
Grazie