STP h:16,25. Taranto-Lecce, 14-07-2011
Scrivo sul taccuino arabo mentre tutti dormono, sfiniti, bocche aperte, mento all’aria, giovani, anziani, berretti in testa, zaini sulle ginocchia. L’unico sveglio guarda, stupito di vedermi, unica donna, sul pullman dei pendolari. Operai. 40°C fuori, dentro un’aria non a sufficienza condizionata.
Qui, in questa stigma di vento, il governo delle cose è una corriera blu e trenta bocche aperte al sonno.
Uno apre a fatica gli occhi, piano, resine fossili, vischi millenari trattengono le palpebre, sta per arrivare, in piedi dalle 5, conta le fermate dormendo, si sveglia che non sa se continuare a imprecare, maledire vita, lavoro, mancate fortune, o benedire il ritorno a casa, quest’altro giorno. Piano escono dal sonno, penzolano senza cadere, fili sul burrone, il labirinto di sempre, l’unica storia che storia non è. Si accorgono e guardano sorpresi. Richiamano, indicano ad altri occhi. S’interrogano stanchi e svogliati, questa ragazza che scrive, abbronzata, ilare, canotta a fiori bianchi e azzurri, aria da forestiera spensierata. Mi guardano gli occhi di Cristo. Alla radio Storie di tutti i giorni, Riccardo Fogli. Tutto si accorda, qui, gli ulivi, il paesaggio brullo, le masserie in vendita al divo inglese o americano, ma resterebbero volentieri così, sbeccate, vuote, orologi fermi alla vita, indifferenti alla meccanica globale. Al passo di niente. Meglio le corriere, il trenino della sud-est, il contadino che brucia le stoppie, canzoni di decenni fa, l’autista, le scritte sullo schienale, “scusa se ti chiamo ancora amore ma è + forte di me…”. Gli operai pendolari. Li guardo, mi vergogno di stare bene in viaggio.